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Tindari, tra miti e leggende

Tindari è una frazione di Patti, nella provincia di Messina. La città si erige su un promontorio (268 metri) dei monti Nebrodi.

Diversi sono i riferimenti letterari alla città, come la poesia “Vento a Tindari” di Salvatore Quasimodo o il romanzo giallo della serie Montalbano (successivamente trasposto in televisione) “La gita al Tindari”.

Origini

Principalmente  è conosciuta per il santuario di Tindari e per la devozione alla Madonna del Tindari. Quest’ultima in particolare trae origine da una leggenda secondo cui la scultura, trasportata per mare, impedì alla propria nave di ripartire dopo essersi rifugiata nella baia di Tindari per sfuggire ad una tempesta. I marinai depositarono a terra il carico della nave, ritenendolo la causa dell’impossibilità di salpare e solo quando scesero anche la statua la nove poté ripartire.

Il santuario fu invece fondata dal vescovo Giovanni Previtera successivamente all’assalto dei corsari di Barbarossa. I lavori vennero completati dopo la sua morte con le donazioni della famiglia Previtera alla diocesi di Patti e ampliato dal vescovo Giuseppe Pullano con la costruzione di una nuova chiesa più grande. La chiesa originale tuttavia non fu demolita ed è ancora possibile trovarla tra le mura degli edifici che attorniano il santuario di Tindari, nella parte esterna a ridosso del presbiterio, costituendo una sorta di chiesa nella chiesa, accessibile soltanto in determinati periodi dell’anno e in determinati orari.

Miti

Alla base del promontorio si trova una zona sabbiosa con una serie di piccoli specchi d’acqua, una spiaggia conosciuta con il nome di Marinello (o il mare secco) al quale sono legate diverse leggende.

Secondo una di esse la spiaggia si sarebbe formata miracolosamente in seguito alla caduta di una bimba dalla terrazza del santuario, ritrovata poi sana e salva sulla spiaggia appena creatasi per il ritiro del mare. La madre della bambina, una pellegrina giunta da lontano, in seguito al miracolo, si sarebbe ricreduta sulla vera natura miracolosa della scultura, della quale aveva dubitato a causa dell’incarnato scuro della Vergine.

Un’altra leggenda narra che sopra la spiaggia, sul costone, si apre inoltre una grotta che si dice fosse abitata da una maga,. Essa si dedicava ad attrarre i naviganti con il suo canto per poi divorarli. Quando qualcuno degli adescati rinunciava per la difficoltà di raggiungere l’ingresso dell’antro, la maga sfogava la rabbia affondando le dita nella parete: a questo sarebbero dovuti i piccoli fori che si aprono numerosi nella roccia.

I resti della città antica si trovano nella zona archeologica, in discreto stato di conservazione, per lo scarso interesse di un reimpiego dei blocchi di pietra arenaria di cui erano costituiti.

Coi primi scavi, tra il 1838-1839 e il 1998, portati avanti ad intervalli irregolari, furono rinvenuti mosaici, sculture e ceramiche, conservati oggi in parte presso il museo locale e in parte presso il Museo archeologico regionale di Palermo.

Il teatro venne costruito con lo stile greco alla fine del IV secolo a.C., rimase a lungo in abbandono e conosciuto solo per le illustrazioni del XIX secolo. Venne in seguito rimaneggiato in epoca romana, con una nuova decorazione, l’adattamento a sede per i giochi dell’Anfiteatro, l’aggiunta di un portico in opera laterizia e la ricostruzione della scena, di cui restano solo le fondazioni e l’arcata, restaurata nel 1939. Dal 1956 vi ha sede un festival artistico che oltre al teatro annovera anche danza e musica.

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