Il Borgo di Basicò è situato in provincia di Messina, a 12 km dall’Uscita autostradale di Falcone (A 20) 450 mt s.l.m., dal quale si gode una splendida vista sul golfo di Milazzo e sull’incantevole arcipelago eoliano.
Tutt’attorno una viva memoria storica, tramandata per secoli e rimasta impressa nell’andamento tortuoso dei vicoli, delle piazze, dei quartieri, è il luogo ideale per godere di un turismo sostenibile, naturalistico ed escursionistico. Basicò, senza dubbio, è un luogo in cui il tempo acquista una dimensione particolare, giocata attraverso la trama fitta di continui rimandi che rimbalzano dal Medioevo al Settecento, all’antichità preellenica.
le Origini
Basicò ha un nome aristocratico che rimanda al greco Basilikòn, tempio o cappella regale.
Quel che i sovrani aristocratici medioevali non potevano sapere è che questa parte di Sicilia presenta delle straordinarie attestazioni pre e protostoriche di cui è ricco il territorio di Basicò.
Due sono le ipotesi che si contendono il favore degli storici, circa l’origine di Basicò. La prima fa risalire la formazione del borgo, con un lento processo di sviluppo tipico degli agglomerati rustici, dai preesistenti casali sparsi sul territorio. La seconda accredita l’origine dell’abitato alla presenza di una comunita’ basiliana e ad un monastero, già intorno al 1150.
La prima teoria è quella che convince di più. Soprattutto perché consente di riallacciarsi all’esperienza della fiorente città di Abacena, legata nelle sue vicende a nomi come quello del mitico re Ducezio e ancora dei tiranni siracusani Dionigi e Gerone II.
Abacena
Della leggendaria roccaforte sicula, che si pensa dovette essere fondata intorno al 1100 a.C. su delle alture strategiche, almeno stando alla derivazione del nome del punico Abac, ossia elevare, sappiamo molto poco. E il poco che sappiamo, vale a dire il groviglio di alleanze, battaglie, vittorie e sconfitte tra cui l’ultima e definitiva, ad opera di Cesare Ottaviano verso il 36 a.C., non riesce a rispondere alla domanda fondamentale: dove? Dove andare a scavare per riportare alla luce Abacena?
Ciò che gli storici antichi tramandano è solo l’area entro cui ne erano compresi i confini, ma in quale sito esattamente sono sepolte le sue vestigia? In molti, a partire da Fazello, si sono detti concordi nell’attestare Abacena sotto le mura del castello di Tripi. Ma la soluzione proposta forse è solo una mezza verità. Infatti, le evidenze archeologiche rinvenute hanno confermato che sono troppo evidenti le analogie fra glia attuali territori di Novara di Sicilia, Tripi, Furnari, Montalbano Elicona e Basicò, perché ciò non dimostri una matrice comune. Ossia l’eguale derivazione dalla civiltà abacenina.
Abacena non è un’unica città strettamente circoscritta, ma piuttosto un territorio con un sistema organico di piccoli agglomerati urbani ravvicinati, sul modello delle più antiche e celebri città greche organizzate in “ demi “, o di quelle latine.
Già tra la metà e la fine degli anni settanta, si sono susseguiti sul territorio diversi ritrovamenti di contrappesi di telaio in argilla, alcuni dei quali sommariamente decorati a incisione. Ne diedero conto fra gli altri anche Luigi Barnabò Brea e Madeleine Cavalier, infaticabili ricercatori delle più remote testimonianza archeologiche della “ Sicilia prima dei Greci “.
Ciò di cui gli studiosi si accorsero subito era che si trattava delle tracce più superficiali di alcune stazioni molto antiche, risalenti al medio e tardo neolitico, ossia al periodo compreso tra la fine del IV e la metà del III millennio. I reperti di Monte Pito e Quattrofinaite, in gran parte industria litica e resti ceramici, testimoniano il contatto con le coeve culture oliane, mentre il fatto che si sia trovato molto materiale di risulta e pochi utensili ha fatto pensare ad una frequentazione solo stagionale.
La presenza di scopritori occasionali e tombaroli senza scrupoli, hanno invece distrutto per sempre vari resti di tombe a incinerazione, rinvenute a Quattrofinaite e Badiazza, sempre nel territorio basicotano, mentre in contrada Fontana Fondaco esistono tracce murarie di un insediamento di età romano-bizantina.
La svolta giunge quando dalle alture dei Nebrodi i suoi abitanti poterono assistere ai primi sbarchi normanni, approdati sulla costa tra Capo Tindari e Capèo Milazzo nella seconda metà del Mille. Le tracce lasciate nel comprensorio dal predominio degli Altavilla non si contano, e ciò giustifica il fatto che il Demone sia stato giustamente definito come il più normanno dei tre Valli siciliani.
L’interno e la fascia litoranea vengono collegati da una costellazione di torri e fortezze che presidiano le alture, mentre qua e là spuntano nuovi monasteri, poli produttivi di spicco nella scarsa economia medievale, controllati dalle nuove famiglie emergenti.
In questo scenario sorge a Basicò per volere reale, il convento delle Clarisse, Santa Maria di Basicò, retto da nobilissime dame fra le quali anche alcune parenti di Federico II.
Il Decadimento
La sconfitta degli Svevi, l’avvento degli Angioini e la lotta con gli Aragonesi segnano il tramonto del casale Basicò e del suo convento, che ne subisce il saccheggio. Le suore scampate all’attacco si riparano dapprima Rometta Superiore e poi a Messina, nella zona, che oggi possiamo identificare come Piazza Basicò a monte della Salita S. Agostino, dove insiste la Fontana Falconieri.
Ribattezzato Casalnuovo, entra in una lunghissima stagione feudale che vedrà l’avvicendarsi delle famiglie dei Lancia (1350-1352), dei Marullo (1539-1541), ancora dei Lancia con i Saccano (1554-1647), dei Naselli ( 1648-1773), e dei De Maria (dal 1766 con investitura ufficiale nel giugno 1767), ultimi baroni che persero i diritti feudali nel 1812 con l’abolizione delle baronie in Sicilia.
Nel 1860 il vetusto feudo diventa Comune d’Italia con il nome di Basicò.